LA RICERCA IN AGOPUNTURA COMMENTATA
PLACEBO OR NOT PLACEBO? Is that the true question?
In quest’anno 2012, sulla prestigiosa rivista americana Archives of Internal Medicine, sono stati pubblicati due interessanti ed importanti studi sull’utilizzo dell’agopuntura. Sul numero 11 di giugno 2012 è stato pubblicato uno studio giapponese di Suzuki et al. dal titolo “A randomized, placebo-controlled trial of acupuncture in patients with chronic obstructive pulmonary disease (COPD): the COPD Acupuncture Trial (CAT)”, mentre sul numero 19 di ottobre 2012 è stata pubblicata una ponderosa metanalisi, frutto del lavoro di Vickers et al., dal titolo “Acupuncture for Chronic Pain. Individual Patient Data Meta-analysis”.
Ripromettendoci di illustrare i lavori nel dettaglio sui numeri della Newsletter dei prossimi mesi, ci preme intanto illustrare le diverse considerazioni che hanno indotto la pubblicazione di questi due importanti lavori riguardo all’azione specifica o aspecifica (leggi effetto placebo) dell’agopuntura.
E’ noto che da quando sono cominciati a comparire studi di rilevanza scientifica sull’efficacia dell’agopuntura (la Cochrane Library comprende ormai decine di revisioni e/o protocolli sull’utilizzo dell’agopuntura in diverse patologie), non si è mai sopita la questione se l’agopuntura abbia o no, come suo fondamento, un effetto placebo.
Il lavoro di Vickers et al. ha preso in esame i trials randomizzati e controllati (RCT) di miglior qualità pubblicati negli ultimi anni, riguardanti il trattamento con agopuntura di varie affezioni dolorose. La maggior parte di questi studi comparava l’effetto dell’agopuntura vera a quello dell’agopuntura sham o placebo e all’usual care.
Com’è noto ormai da tempo, da quando vengono pubblicati gli studi in cui si considera l’effetto dell’agopuntura vera e dell’agopuntura sham verso controlli, si ritrova un’efficacia anche nei gruppi che utilizzano un trattamento con agopuntura sham.
Il commento pubblicato sullo stesso numero degli Archives a firma di Andrew Avins, arriva alla conclusione che la maggior parte dei benefici clinici osservati con l’agopuntura sia dovuta ad un effetto placebo e pone la questione se un agente terapeutico che non si dimostri superiore al placebo debba essere approvato. Il commento di Avins, da una parte, è critico nei confronti dell’agopuntura, ma dall’altro pone anche l’interessante questione se non vada approfondito tutto quello che sta dietro al termine placebo. Se dietro il concetto di placebo ci fosse l’attivazione del sistema degli oppioidi endogeni, la modulazione dei processi di arrivo e partenza dei segnali del dolore, non sarebbe un aspetto molto interessante? Lo stesso autore pone un’altra stimolante questione, affermando che, alla fine della giornata, ciò che resta ad un medico è la richiesta dei propri pazienti di stare e di vivere meglio per un tempo il più lungo possibile. L’ideale sarebbe farlo comprendendo i meccanismi d’azione di quanto si compie, anche se la questione ultimativa è: questo intervento funziona? Il lavoro di Vickers et al. ha prodotto alcune forti evidenze sulla maggior efficacia dell’agopuntura, pur in maniera modesta, rispetto all’usual care nella cura di pazienti affetti da varie forme di dolore.
Il lavoro di Suzuki et al. è invece meno problematico, anzi il commento che lo accompagna, redatto da George Lewith e Mike Thomas, titola “Metodi di ricerca che rivalutano l’agopuntura”. Il lavoro di Suzuki et al. dimostra che l’utilizzo dell’agopuntura produce un significativo miglioramento nei pazienti affetti da Bronco-pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) utilizzando un protocollo standardizzato derivato dall’approccio della Medicina Tradizionale Cinese, anche se la vera agopuntura tradizionale implicherebbe un approccio personalizzato. In questo studio viene dimostrata una netta superiorità dell’agopuntura rispetto al placebo, diversamente da quanto invece si ricava dagli studi sul trattamento del dolore, in cui l’effetto dell’agopuntura, come abbiamo visto nel lavoro di Vickers et al., si discosta faticosamente dall’effetto, considerato placebo, dell’agopuntura.
Pertanto un netto ribaltamento di fronte! Viene da chiedersi: allora l’agopuntura ha effetto placebo o no? Lewith e Thomas azzardano un tentativo di risposta che può essere un interessante argomento di dibattito. Il meccanismo che sottosta al trattamento del dolore può invocare l’utilizzo sia di punti specifici sia di punti non specifici (si può dire similplacebo o endorfino-mediati). Questo è un elemento di confusione per l’utilizzo di una cosiddetta agopuntura placebo, in quanto essa usa proprio punti non specifici, ma comunque aventi effetto sulla modulazione del dolore. N.B: ma non è invalso l’uso dei punti Ashi nel trattamento di affezioni dolorose anche in una buona pratica di agopuntura? Invece, quando si trattano affezioni quali la BPCO, che richiede l’utilizzo di ben determinati punti di agopuntura, poiché il meccanismo d’azione sottostante è più specifico di quello della modulazione del dolore, la differenza fra agopuntura vera e agopuntura sham è molto più significativa.
Tutto ciò sembra suggerire che l’agopuntura agisca attraverso diversi effetti, la cui comprensione permetterebbe di disegnare studi clinici veramente efficaci.
In conclusione, lo studio di Suzuki et al. è molto importante in quanto riapre il dibattito sull’effettiva efficacia dell’agopuntura, sui suoi meccanismi d’azione e sul suo possibile utilizzo in un’ottica d’integrazione con le tecniche della Medicina Occidentale.
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